Fulvio Bernardini
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Buonasera, Dottore!
Se Viani e Rocco potevano essere l’emblema di una classe operaia destinata ad andare in paradiso, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta si fa strada – oltre a Helenio Herrera – anche un Cattedratico prestato alla panchina.
Da calciatore, Fulvio Bernardini ha giocato praticamente in tutti i ruoli, partendo portiere e chiudendo in difesa dopo essere stato attaccante e centrocampista, sempre con ottimi risultati.
La sua duttilità tattica era figlia di un’intelligenza spiccata che seppe sempre coltivare, tanto da decidere di trasferirsi all’Inter dalla Lazio per poter frequentare Scienze Economiche alla Bocconi. Insomma, un cervello prestato al calcio, che già da calciatore evidenzia qualità da… allenatore.
Lo scopritore di Meazza
È lui, infatti, durante la militanza interista, a suggerire al suo tecnico, Arpad Weisz, di aggregare alla prima squadra un pischello sedicenne che ha visto giocare nelle giovanili, Giuseppe Meazza…
Da calciatore (Lazio, Inter, Roma e MATER, squadretta dopolavoristica della Capitale), nonostante la grande classe («Lei gioca troppo bene per la mia Nazionale: dovrei chiederle di giocare peggio, se la chiamassi» pare si giustificò Vittorio Pozzo, Ct due volte Campione del Mondo, per la mancata convocazione ai Mondiali 1934…), vince poco o niente, mentre da allenatore si toglie almeno due grandi soddisfazioni.
La prima, nel 1957, portando la Fiorentina alla conquista del suo primo scudetto; la seconda, nel 1964, regalando al Bologna quello che è ancora oggi il suo ultimo scudetto.
È anche Ct azzurro raccogliendo, all’inizio degli anni Settanta, il testimone da Ferruccio Valcareggi, ma pure in questo caso i risultati sono inferiori alle attese, avendo l’unico merito di lanciare in orbita Enzo Bearzot, suo “vice”, che sfrutterà il suo lavoro di selezione per costruire la squadra quarta in Argentina nel ‘78 e Campione in Spagna nell’82.
Mai un regalino…
Che tipo è, Bernardini? Da allenatore, uno studioso assiduo, un tattico accorto che però non rinuncia mai al bel gioco, un amante dei “piedi buoni” ripensando ai suoi che erano stati ottimi (parola di Pozzo).
Sul piano umano, una persona meravigliosa, elegante, simpatico, difficilmente sopra le righe, lontanissimo dai cliché che erano di moda all’epoca.
Dice mia madre che era un po’ tirchio (veniva un paio di volte alla settimana a mangiare a casa nostra, a Bologna (mio padre in quel tempo era direttore sportivo rossoblù) e dopo cena mi sfidava a riconoscere le figurine dei calciatori coprendo il cognome stampato, «ma non ha mai portato un regalino per te e tuo fratello o una bottiglia di vino», chiosa mia madre…); di sicuro, taccagno o generoso non cambia, una Persona di categoria superiore.