Morire di tifo
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Morire di Tifo
Lo sanno tutti. Da anni. Eppure il calcio fa finta di accorgersene solo quando succedono fatti clamorosi. Non bastano il Covid, la crisi economica che stravolge le nostre vite quotidiane, la mancanza di giovani talenti… No, il calcio italiano se ne inventa un’altra e rischia di morire di… tifo. Non quello declinato da Pier Paolo Pasolini, sincero tifoso del Bologna che scriveva “Il tifo è una malattia giovanile che dura tutta la vita” e neppure quello chiassoso degli sfottò da una curva all’altra, magari un po’ becero ma sempre con il sorriso sulle labbra. Tutto è peggiorato, nel mondo che abbiamo costruito, e il calcio non è certo un’isola felice.
Mi manda Luciano
Ricordo un pomeriggio di poco meno di trent’anni fa. Padova, Stadio Euganeo (che nostalgia per il vetusto Appiani…), si gioca Padova-Napoli.
Un paio d’ore prima dell’inizio della partita, sono nella pancia dello stadio a parlare con tre amici: Sergio Giordani, allora presidente biancoscudato e oggi sindaco di Padova, Piero Aggradi, allora diesse e oggi a caccia di talenti nei verdi prati del Cielo, Giovanni Gardini, all’epoca segretario generale patavino e oggi direttore generale del Palermo.
A un certo punto, arriva trafelato uno degli addetti alla sicurezza: «Presidente, gli ultras del Napoli minacciano di sfasciare tutto se non diamo loro i biglietti omaggio!». Fra il divertito (perché il Padova avrebbe dovuto regalare biglietti ai napoletani?) e il preoccupato (duecento ultras incazzati possono combinare disastri), Giovanni va al cancello d’ingresso per parlare con gli esagitati (e io con lui…). Il capo della banda non ci gira intorno: «Dotto’, o saltano fuori i biglietti che ci ha promesso Luciano o facciamo un macello».
Luciano era Moggi, al tempo digì della Juventus con ramificazioni in quasi tutte le società italiane, e per tener buoni i “ragazzi” aveva detto agli ultras che a Padova li avrebbe fatti entrare gratis. Giovanni girò la cosa al suo presidente e alla fine i facinorosi vennero accompagnati in un settore ben delimitato, perché non potessero fare danni. Io ero presente quel giorno, ma chissà quante volte i club italiani hanno avuto a che fare con la faccia brutta del tifo.
Dalle croci alle maglie
Penso alle croci apparse a Casteldebole, alle teste di porco infilzate nelle cancellate d’ingresso. Penso a quel pomeriggio di aprile 2012, Genoa-Siena 1-4, quando gli ultras rossoblù di fatto “sospesero” la partita per quasi un’ora, obbligando i calciatori a togliersi le maglie, indossate in maniera disonorevole…
Poi ci pensò Beppe Sculli a parlare con i tifosi e la partita magicamente ricominciò. Già, ma chi è Sculli? È il nipote del sanguinario boss Giuseppe Morabito, detto “’u Tiradritto”, che di per sé non è una condanna, ma se lo aggiungi al fatto che il padre di Sculli venne arrestato nel 2013 per “associazione a delinquere e riciclaggio” e al fatto che in una recente inchiesta è stato indicato dai pentiti come “uno dei nuovi re della mala di Milano” (pur non venendo indagato), beh, il quadro si offusca.
Restano scolpite nel marmo le parole pronunciate quel giorno dal presidente Preziosi, non esattamente un pulpito immacolato ma pur sempre parte in causa: «Assurdo che sessanta, cento persone abbiano l’impunità di fare quello che gli pare senza che si possano controllare e mandare a casa. Non è possibile che si impadroniscano dello stadio e impongano la loro legge. Non basta il Daspo, ci vuole la galera».
Il derby d’Italia
E che dire delle minacce (cori razzisti, striscioni violenti, addirittura bombe carta) subite dalla Juventus da parte dei suoi ultras? Basta leggere gli atti del procedimento avviato dopo la denuncia di un dirigente bianconero per provare i brividi…
Siamo a sabato scorso, al Meazza per Inter-Sampdoria. Si sparge la voce che è stato ucciso in un agguato un capo della curva nerazzurra. Al di là della modalità da film sulla mala, magari qualcuno ha pensato che fosse un gesto d’affetto abbandonare la Nord in segno di lutto…
Errore, come sancisce una nota della Questura di Milano, che ha individuato «alcuni ultras che hanno provocato il deflusso e isolato la posizione di un altro ultras, responsabile di aver usato violenza verso una persona che esitava a lasciare lo stadio». Capito? Non c’è spazio, stando a questa ricostruzione, per chi va allo stadio a incoraggiare la propria squadra del cuore. E attenzione, il malcostume non riguarda solo i club che abbiamo citato: l’andazzo è generale e coinvolge tutti, fino ai piani più bassi del calcio italiano. Ragazzi, va a finire che il calcio, schiacciato tra plusvalenze fasulle e crisi di vocazione, morirà proprio di tifo. Organizzato…