Franco BARESI

Raccontano che i suoi istruttori nelle giovanili del Milan, al momento di consegnare (precocemente) a Liedholm il prodotto finito, si esprimessero così: come calciatore è perfetto, gli manca solo la parola.In effetti nei primi anni, quando ancora al Milan lo chiamavano "Piscinìn" perché a Rivera, Albertosi, Morini e Capello, tutta gente che viaggiava spedita verso gli "anta", era stato portato come nuovo compagno di prima squadra a neanche diciottanni con unaria malinconica da ragazzino, i suoi limiti dialettici facevano disperare i cronisti. Ricevere lordine dal caposervizio di andare a intervistare Baresi equivaleva a un invio sul fronte sperduto di una terra lontana. Il deserto dei Tartari, tutta la vita ad aspettare una frase e poi, al momento buono, la fregatura. Così venne affermandosi una categoria particolare di gazzettieri specializzati: gli interpreti dei grugniti del Nostro. Franco Baresi è infatti talmente abituato a schiarirsi la voce per prendere tempo prima di rispondere alle domande, che ha finito molto spesso con il limitarsi a quellespressione vocale.
Il fatto è che kaiser Franz,
come veniva soprannominato per la parentela tecnica con limmenso Franz
Beckenbauer, non ha mai ritenuto di avere molto più da dire di quanto riuscisse a
esprimere sul campo. Insomma, quando al grugnito si accompagnava un vago sorriso velato di
malinconia, la risposta era trasparente: "Personalmente sono più che soddisfatto del
mio rendimento e di quello della squadra, nonchè del comportamento della società,
dallallenatore agli interi quadri dirigenziali". Se invece il grugnito era di
una nota più in alto e si associava a un quasi impercettibile aggrottar di ciglia, allora
il senso saltava allocchio: "Per me è sempre stato gratificante giocare in una
squadra come il Milan". E così via. Col tempo, una diffusa tradizione orale aveva
trasmesso a macchia dolio questi insegnamenti, al punto che ormai i più esperti
erano in grado di effettuare lunghe e articolate interviste a Baresi semplicemente
incrociandolo al bar di Milanello. Quando Franco Baresi era ragazzino e portava i capelli biondi a caschetto, gli avversari non lo prendevano molto sul serio anche per via del suo morbido tocco di palla che lo faceva sembrare un efebico artista. Così, per convincerli che stavano prendendo un granchio, ogni tanto si esibiva nel classico intervento "palla o piede", una sorta di tackle rusticano in cui il pallone magari schizzava lontano, ma in compenso lattaccante rischiava di rimanere storpio per il resto dei suoi giorni. La sua classe era talmente grande che tutti si limitavano a parlare di "raptus agonistici", alimentando comunque la sua fama di "duro". Eppure, in almeno due circostanze della sua carriera, a questa specie di Clint Eastwood delle aree di rigore è spuntata, come avrebbe cantato Bobby Solo, una lacrima sul viso. La prima risale al 1982: "Eravamo nello spogliatoio di Cesena, allultima giornata del campionato 81-82" ha raccontato, "ho visto molti compagni piangere: non mi era mai successo. Anchio mi sono ritrovato in lacrime seduto su una panca". Anche i duri hanno un cuore. Rossonero. |
SCHEDA TECNICA Nato a: Travagliato (Brescia)
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La seconda risale invece a due anni fa, al culmine del Mondiale americano. Era il 17 luglio 1994. Kaiser Franz tornò in campo per la finale iridata a Pasadena contro il Brasile, realizzando un piccolo miracolo: infortunatosi a un ginocchio il 23 giugno durante Italia-Norvegia al Giants Stadium di New York, era stato operato di menisco a Manhattan e aveva fatto in tempo a guarire e recuperare il tono atletico, come dimostrò disputando una partita eccezionale. Poi, alla fine, la sequenza dei calci di rigore. Baresi si recò per primo sul dischetto e ne venne fuori un tiro alto, frutto evidente dellemozione. Dopo di lui, sbagliarono Massaro e Baggio e il titolo finì al Brasile. Così a tutti è rimasto in mente il duro Baresi in lacrime al centro del campo, nel sole della California, come se la sconfitta avesse infranto un sogno irripetibile, per un giocatore che al mondo aveva ormai vinto tutto. Duro, ma con sentimento.
La scorza dura kaiser Franz
se lè fatta sin da ragazzino, perché se allapparenza la vita gli ha dato
tutte le soddisfazioni possibili, in realtà gli ha anche tolto tantissimo. Innanzitutto i
genitori, visto che Franco rimase orfano assieme ai fratelli ad appena quattordici anni.
La sua vita divenne subito il Milan, però il desiderio di avere figli suoi è stato
sempre fortissimo e, benchè si sia sposato giovane, solo sei anni fa è riuscito a
coronare il suo sogno. La moglie Maura ha dovuto sopportare un vero calvario di gravidanze
interrotte. Siccome però il piccolo Edoardo, nato a Città del Messico
il 26 gennaio 1991, ha un incarnato piuttosto scuro, ben presto cominciarono le voci
maligne: "Piccoli, miserabili attacchi" raccontò Maura a Novella 2000 "che
sono cominciati pochi mesi dopo. Mi hanno riportato tutto, sempre, non mi hanno
risparmiato. Comprese le cose che Franco non mi diceva, gli striscioni allo stadio e i
cori dei tifosi avversari.In un mondo, quello del tifo, dove tutto è permesso, dove si
picchiano e si ammazzano, speravo nel rispetto della maternità, soprattutto quando è
stata sofferta come la mia". Anche nellultima stagione in parecchi stadi i cori
si sono sprecati per Baresi, cui anche la tanto attesa paternità ha riservato qualche
amarezza, cancellata peraltro dal grande affetto verso il suo Edoardo. Lamore per i
bambini è stato talmente forte che nel gennaio scorso i coniugi Baresi hanno deciso di
adottare un bambino russo, nato a Mosca due anni fa. Lhanno battezzato Gianandrea e
la festa in famiglia è stata grande: ora Edoardo ha un fratellino con cui giocare. E
magari imparare a fare il leader.
Quando aveva ventun anni ed era già una colonna della squadra rossonera, un giorno Baresi dovette uscire da Milanello con una smorfia di dolore in faccia, su una sedia a rotelle. Una malattia misteriosa gli aveva tolto le forze, impedendogli addirittura di camminare. Le voci si rincorsero: pubalgia, infezione, infiammazione, malattia reumatica. Lui peggiorava ogni giorno di più e siccome nellambiente del calcio quando cè da mettere in giro una voce malevola i volontari si arruolano a schiere, qualcuno parlò addirittura di un cancro. Invece, dopo tre mesi e mezzo di inattività, Baresi si ripresentò a Milanello sulle proprie gambe e aveva la faccia dura di quando esce da uno di quei famosi tackle ed è pronto a ripartire come se niente fosse. Pare che la causa di tutto risiedesse in un virus piuttosto raro. Aveva provato a superare kaiser Franz e ne era uscito a pezzi. Roba da non ripresentarsi mai più.
La Serie B ha rappresentato un capitolo importante nella carriera di Franco Baresi. Anzi, due. Per ben due volte (la prima era stata per lo scandalo del calcio-scommesse) si ritrovò tra i cadetti eppure non accettò le offerte di altre squadre di A. Una dimostrazione di attaccamento ai colori che i tifosi non hanno mai dimenticato. Calcando i campi della B, Baresi volle dimostrare ai suoi detrattori che la sua pulizia tecnica non andava a scapito dellefficacia. E infatti pure nel purgatorio cadetto, dove quando serve si randella di santa ragione, Franco Baresi non solo si fece rispettare, ma si confermò il leader della squadra, giocando in pratica da primo centrocampista, visto che col suo tasso tecnico era sprecato in difesa.
In entrambe le occasioni, il ritorno in serie A fu immediato ed erano sempre di più i superesperti convinti che fosse un delitto schierarlo in terza linea: con quei piedi doveva fare il costruttore di gioco. Tanto più che allora in Nazionale giocava il mitico Scirea ed era quindi impossibile pensare di prenderne il posto prima che andasse in pensione.Il loro motto era: in mediano stat virtus. Un proverbio latino adattato al pallone di cui lormai ex "Piscinin" dimostrò linfondatezza. A proprie spese.
Dai e dai, fu proprio
lallenatore più importante dItalia, cioè il Ct azzurro campione del mondo, Enzo
Bearzot, a sposare la suggestiva idea di fare di Baresi un mediano. Il Ct aveva portato
Baresi in Nazionale giovanissimo, ma ai Mondiali 82 gli aveva fatto fare la
mascotte. Il trascinatore del Milan divenne campione del mondo in tribuna, poi dovette
stare ancora in anticamera, sempre per via della bravura del "mostro" Scirea.
Così Bearzot si convinse di poter utilizzare entrambi, con la scappatoia di schierare il
milanista a centrocampo. Si cominciò con Italia-Cipro a Perugia, il 22
dicembre dell83, una partita innocua, e lesperimento durò fino a primavera,
per un totale di sei incontri. Finché fu drammaticamente chiaro che il leggendario Ct
iridato aveva preso una cantonata.
E che Bearzot non attraversasse un momento felice (qualcuno sosteneva apertamente che fosse ormai suonato, come un pugile che ne ha parate troppe con la faccia), fu dimostrato dal fatto che come sostituto di Scirea al sontuoso Baresi preferiva Ubaldo Righetti, un giovane della Roma che avrebbe poi passato la carriera tra Lecce e Pescara. Quando però, dopo il fiasco ai Mondiali dell86, Azeglio Vicini sostituì Bearzot alla guida della Nazionale, Baresi divenne il libero titolare e nessuno osò più discuterlo, per non rischiare di passare per matto. O per suonato.
I rapporti con Arrigo Sacchi, una storia a parte nella carriera di Franco Baresi. Quando il tecnico di Fusignano arrivò al Milan, lapproccio non fu dei migliori. Soprattutto perché pretendeva di far giocare i rossoneri come i suoi al Parma e per farlo li costringeva a sorbirsi intere videocassette di partite della squadra gialloblù, con inevitabili conseguenze sulla loro integrità testicolare. Inoltre Sacchi era stato portato da Berlusconi, che aveva condizionato il pagamento dei premi al raggiungimento di traguardi agonistici e la commisione interna della squadra, con Baresi leader, si era (inutilmente) ribellata. Tanto che nellottobre del 1987 Alberto Costa, cronista del Corriere della Sera amico di Baresi (avrebbe poi curato la sua biografia), scrisse: "Baresi vuole lasciare il Milan. Il capitano rossonero ha sempre mal digerito la concezione che Berlusconi ha della vita: un efficientismo che, in cambio del denaro (molto denaro, per la verità), pretende la dedizione più assoluta. Queste perplessità di fondo si sono trasformate in malessere con larrivo di Arrigo Sacchi. Franco Baresi ha cercato di instaurare un corretto rapporto con il nuovo tecnico, ma, proprio di recente, si è dovuto arrendere: lui e Sacchi viaggiano su frequenze differenti. Un esempio? Uno dei sistemi didattici più cari al giovane allenatore di Fusignano, quello delle videocassette, ha provocato in Franco Baresi una crisi di rigetto, per il continuo ricorso che Sacchi fa alle registrazioni delle partite disputate dal Parma nello scorso campionato di B. Per ciascun milanista i riferimenti sono dobbligo: "Vedi come fa questo? Vedi come si muove quello?". In particolare, a Baresi tocca seguire nei minimi dettagli le prestazioni di Signorini, che del Parma era il libero". Quando poi il Milan cominciò a vincere, molte prevenzioni vennero meno e Baresi divenne uno degli ammiratori più convinti del Cavaliere. Meno semplice il rapporto con Sacchi, in quanto un precedente come quello di Signorini non si scorda facilmente. Così un giorno il mago di Fusignano dovette andarsene dal Milan: i giocatori non lo sopportavano più ed erano andati a dirlo direttamente a Berlusconi. Di fronte alla scelta tra lallenatore e i suoi campioni, il Dottore aveva subito pensato a Sacchi. Per trovargli una nuova sistemazione.
Franz ritrovò lo schiavista Arrigo solo in Nazionale. E gli bastò un anno, tra stage e lezioni di gioco collettivo a Coverciano, per dire basta. Annunciò il suo ritiro dallazzurro allinizio di ottobre del 1992 e tutti parlarono con grande originalità di scelta di vita. Due settimane dopo, la Nazionale per poco non le prese dalla Svizzera a Cagliari nelle qualificazioni mondiali e in difesa la strana coppia (centrale) Lanna-Costacurta combinò tante castronerie da provocare un attacco di panico al presidente federale Matarrese. Il quale si presentò a casa Baresi con una sostanziosa offerta economica, anche se Sacchi, secondo i beninformati, non era del tutto daccordo, perché secondo lui quello che importa non sono i fuoriclasse come Franz, ma gli schemi, in cui anche i ronzini corrono come purosangue. Alla fine Baresi si fece convincere a una nuova scelta di vita, rientrò e con lui lItalia si rimise in carreggiata per i Mondiali. La seconda volta, però, dopo la partitaccia a Maribor contro la Slovenia seguita alle lacrime di Pasadena, Baresi fu inflessibile: addio, Nazionale. Sette anni di Sacchi bastavano. E avanzavano.
È noto che i ricorsi storici si applicano anche al calcio, così le strade di Arrigo e Franco sono tornate a incrociarsi il 2 dicembre scorso, ma questa volta neanche sul piano tecnico gli effetti sono stati positivi. Non è stato però per non correre più il rischio di lavorare con Sacchi che il 23 giugno scorso Franco Baresi, dopo un campionato catastrofico più per la squadra che per lui, ha deciso di smettere. Ha giocato 716 partite ufficiali col Milan, quanto nessuno in passato, vincendo tutto il possibile. Ha giocato 81 volte in Nazionale. Poco meno di un anno fa, presentandosi alla festa organizzata per i suoi ventanni di Milan, disse: "Non ho idea di quando smetterò, ma quando cominci a organizzare queste cose, vuol dire che devi stare allerta". Così, con il tempismo che lo ha sempre contraddistinto negli interventi sul campo, Baresi ha scelto il momento giusto per smettere.
È diventato, oltre che vicepresidente, responsabile del settore giovanile del Milan, e in questo lancia un nuovo derby con suo fratello Giuseppe, di due anni più anziano, a lungo bandiera dellInter, che da qualche tempo allena le giovanili nerazzurre. Ora la sfida dellex kaiser è di scoprire un giovane capace di seguire le sue orme. Anche se per i tifosi rossoneri (e della Nazionale) Franco Baresi è come la mamma: ce nè (stato) uno solo.
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